Gentilissimo
Maestro,
la Sua opera è sempre espressione di raffinatezza e
leggiadria. Nell'imminenza della data dell'8 marzo, come donna,
non posso che ammirare la Sua rappresentazione di Pandora
portatrice del sentire e della forza femminile.
Maria
Letizia Sebastiani, direttore della Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze
---
Ecco
un artista che sa dipingere davvero, da far invidia al nostro
Rinascimento.
Eraldo Di Vita,
critico d’arte
---
La
prima donna secondo Giovanni Cavazzon, pittore della gentile
sensualità femminile.
Stefania
Cavazzon, poeta
Bella
e improvvida prima donna della mitologia greca, sposa desiderata
di Epimeteo, Pandora, come altre di nostra conoscenza, sarà
la sciagurata custode del mitico vaso contenente tutti i mali
dell’umanità. Fu una curiosità perniciosa che la indusse a
schiuderlo o l’ottemperanza inconsapevole al fato? Ovvio
sottolineare quanto le società patriarcali scaricassero sulla
donna la responsabilità, diretta o indiretta, del dramma
esistenziale.
Cavazzon, in questa sua versione di Pandora,
deliziosamente e, in quanto uomo, sorprendentemente, elude ogni
giudizio.
Appollaiata in cima a un ramo (spoglio e proteso ad
un presago grigiore), quasi fosse un’avvenente alipede senza
peso, ella è colta nell’atto di volgere il coperchio, lo
sguardo verso l’alto, verso deità presumibili. Più vicina al
cielo che alla terra da cui è stata generata, non ha tema né
angoscia, né aria di grave sfida. Sembra voglia coinvolgere il
Divino a un diversivo innocente o, di più, ottenere il consenso
paterno, come una bimba che chieda di prendere parte a un gioco
adulto. In tale rarefatta sospensione questa Pandora senza colpa
assurge ad emblema e concentra, dall’azione in fieri delle
braccia, al volto, al lucore della guancia, il senso poetico di
cui è comunque sostanza.
La ragione, l’origine del male
le sono forse estranei, dimensioni più oscure di lei, sterili,
incivili, appartengono a qualcosa di diverso dalla femminilità.
In lei si colora una speranza irriducibile. Nel riccio argenteo
dei capelli che le incorniciano gli occhi, quasi mariani, si
eterna un tremito di consapevolezza. In lei la morte non avrà
presa.
|
|