San
Giovanni Paolo II
San Benedetto da Norcia
tempera
acrilica su tavola, cm.188x75, 2017
Santi
Cirillo e Metodio
tempera acrilica su tavola, cm.188x112,
2017
Il
3 maggio 2017 ha avuto luogo la celebrazione per il XXV
anniversario della visita pastorale di Papa Giovanni Paolo II.
Nella
stessa
occasione la Chiesa Regina Pacis di Redipuglia è stata
cointitolata ai santi Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio e
Giovanni Paolo II.
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La chiesa
Regina Pacis del Sacrario di Redipuglia vuole dare una luce di
speranza a tutte le genti d’Europa; è doveroso raffigurarne
l’istanza.
In armonia con il Progetto educativo “Umanità
dentro la Guerra” dedicato a Ferdinando Pascolo “Silla”,
Cavazzon, nell’assumere questo incarico ha riflettuto sulla
sacralità di questi luoghi, sulla storia recente e a un tempo
lontana che ha visto scorrere il sangue di popoli accomunati dallo
stesso Dio.
Si è recato, pellegrino, nell’Abbazia
Benedettina di Praglia, con lo scopo di cogliere le vibrazioni e
respirarne l’atmosfera spirituale. Un Monaco ha prestato il
volto per San Benedetto. Non uno stereotipo dunque, ma un essere
vivo che ha assunto in sé quell’originario messaggio di
fede.
Cirillo e Metodio erano fratelli; i volti che li
rappresentano appartengono proprio a due fratelli, entrambi
promotori della cultura di pace. Uno di essi, più propenso al
viaggio e alla comunicazione, presta il volto a San Cirillo;
l’altro, più incline alla meditazione, a Metodio. Nel rispetto
della storia di questi Santi, il maestro ha eseguito l’opera
interiorizzando la tipicità dell’arte bizantina. I volti, i
gesti, gli abiti sono volumi metaforici di una condizione a noi
oggi inconoscibile e le pennellate suggeriscono, piuttosto che
affermare. Cirillo ha in mano un cartiglio che, in slavo
ecclesiastico, chiama tutti a Redipuglia, ora luogo di Pace.
Per
dipingere San Giovanni Paolo II, il pittore ha richiamato alla
mente la sua esperienza emotiva, quando il 16 ottobre 1978 vide
questo giovane pontefice prendersi carico della Chiesa; poi lo
seguì nel suo apostolato: l’attentato, le malattie, le
encicliche, le lotte per la pace e l’unità dei credenti.
Dall’ampia documentazione fotografica ha scelto un gesto che a
sé accoglie e da sé irraggia la benedizione.
Poiché i
luoghi raccontano la storia, ai piedi di San Benedetto c’è
l’Abbazia di Montecassino, del 529; il maestro ne ha
tratteggiato quel che restava dopo i bombardamenti del 18 febbraio
del 1944.
Ai piedi di Cirillo e Metodio è raffigurata la
Basilica di Santa Sofia in Costantinopoli, luogo da cui, nell’858,
partirono per evangelizzare le genti slave.
San Giovanni
Paolo II sfiora quel muro di Berlino che, nel 1989, fu distrutto
ad opera della pace e della convivenza.
Alla base delle
figure, spazi astratti di colore e di riflessione. Per San
Giovanni Paolo II i colori della natura; il corvo allontana da San
Benedetto il nero del male; secondo la tradizione delle chiese
d’Oriente, a Cirillo e Metodio l’oro della parola di Dio.
Don
Sigismondo Schiavone
Rettore del Sacrario di Redipuglia
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Dopo
la esegesi pittorica di San Benedetto, fusione perfetta di storia
e mito, carnalità e spirito, religiosità e morale, indole e
magistero, movimento e fissità, colore/luce e negritudine,
Cavazzon conclude il progetto per Redipuglia con l’atto di far
sgusciare dall’impalpabile, in assolata elevatezza, la
benedizione del Santo Wojtyla, vivacissima pur se fissata nel
gesto, così vivida da muovere chiunque ad un commosso accogliere.
È rivolta all’attualità di una folla appena abbozzata,
lontana, terrena perché posizionata in basso, ma ben più
astratta nella sua calca accorrente che non il volto del Papa. È,
tale folla, l’anima di Berlino, della Germania divisa, intorno
alla Porta di Brandeburgo. È l’anima del mondo cattolico, di
tutti i fedeli, di tutte le patrie, di tutte le fedi. Moltitudine
indistinta, che acclama, che si fa corteo, che scavalca e abbatte
muri, i terribili muri dell’ostracismo. È il pullulare di tutti
i fantasmi che creano la storia, di anonime vite, di quotidianità,
di sogni e sacrifici, di vittorie e rinunce, di umiltà e di eroi.
Pochi tratti per tutto ciò, di una sapienza figurativa da cui
nulla sgorga casuale.
Viste
nell’insieme le tre opere (la prima, Cirillo e Metodio)
risultano assai più omogenee di quanto ci si potesse attendere.
Le differenze epocali e contenutistiche, anche se evidenti perché
evocate con dovizia di particolari, si esprimono lungo un processo
temporale di stile che ogni volta riassume in sé, con una sinossi
narrativa mirabile (poetica potremmo definirla, se per poesia
s’intenda la traccia che assurge ad un oltre) alcune vicende
essenziali della storia di una religione. Della storia del
pensiero che in quella stessa religione si è evoluto, grazie a
tali personaggi.
Colui
che ci narra, il pittore Giovanni Cavazzon, nel suo viaggio nel
tempo non ha mai smarrito, neppure per un istante, lo scopo
prefissatosi, quello cioè di comunicarci l’essenza mistica,
filosofica, umorale dei personaggi in un atteggiarsi di mani o
nella metafora ottenuta dal colore o nell’espressione
personalizzata dei volti e, altrimenti, di avvicinarci
all’incomprensibile con delizie metafisiche e di eluderci il
pregiudizio e l’ovvietà con tenera ironia, nel vuoto rigido
delle tuniche, nella ieraticità delle imponenti aureole, nei vari
piani prospettici, nelle velate o particolareggiate allusioni
architettoniche, nelle presenze volatiche di migratori o
individui. Il progetto ci parla di una dimensione straordinaria,
ma interpretata con amoroso filtro umano. Tutto il Divino comunque
lo pervade, attraverso la qualità del linguaggio pittorico,
estremamente moderno, attuale ed unico per capacità di recupero
nell’uso delle figure, degli sfondi, degli accostamenti, dei
significati, delle proporzioni, delle sintesi. Al di là dei
personaggi narrati e della storia che li riguarda, il Divino
addirittura irrompe con la giusta luce che la grande opera d’arte
sa emanare. L’artista trasforma l’icona d’obbligo, le
intuizioni affettive ed intellettualistiche, gli elementi
documentaristici e i particolari storici in un’unicità
sorprendente, in un’assolutezza raggiante e divertita, in una
sospensione stupefatta. Siamo di fronte ad un’esperienza d’arte
figurativa che non è solo testimonianza, ma resurrezione.
L’aspetto scenografico del contesto è tale da riesumare, come
in un corrispettivo teatrale, la profonda verità dell’evento e
da fissarla in un eternato incanto, in una perfetta, gioiosa
consapevolezza. Ecco, dunque, l’aspetto fondamentale di questo
progetto: l’artista ci trasmette la gioia di essere dentro e
fuori l’evento stesso, di poterlo rivivere e slontanare con lo
strumento privilegiato dell’attore. Lo spettacolo a cui ci è
dato presenziare e che resterà vivo perché non ha quinte che si
chiudano o luci che si spengano, abbraccia secoli di pensiero, ma
è concentrato in pochi versi di poetica pittorica e la poesia
dell’immagine, quando così alta, è in se stessa atto
religioso.
Stefania
Cavazzon
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Ho
accettato volentieri l'incarico,
data la forza delle motivazioni, pur se il compito affidatomi non
era certo dei più semplici:
abbracciare
in un linguaggio contemporaneo secoli di storia della Chiesa e
dell'umanità attraverso figure altamente rappresentative.
Ho
perciò dipinto San Benedetto da Norcia e il riferimento alla sua
Regola (V, VI secolo), i Santi Cirillo e Metodio, che nel IX
secolo hanno diffuso il Vangelo ai popoli slavi, e
infine San Giovanni Paolo II, il papa che abbiamo conosciuto.
Nella
tavola che lo rappresenta vedete
rivolta all’attualità la folla che egli ha sollecitato, l’anima
di Berlino, della Germania divisa che si riunisce. È l’anima
del mondo cattolico, di tutti i fedeli, di tutte le patrie, di
tutte le fedi; è la moltitudine indistinta che scavalca e abbatte
i terribili muri dell’ostracismo.
Se
moltitudine sa abbattere i muri delle ideologie, vediamo, nella
tavola accanto (quella di San Benedetto), il risultato della
guerra: l'annientamento spietato di vite, di pensieri, di opere
rappresentato dai resti
dell'Abbazia di Montecassino dopo
il bombardamento del 1944. Quanta attualità in questa breve
riflessione!
E'
con il dialogo che Cirillo e Metodio hanno portato la loro
professione di fede. Dalla chiesa di Costantinopoli partirono e
diffusero la parola di Dio. La pittura con cui ho rappresentato
questa immagine è come un rispettoso gioco.
La
chiesa di Santa Sofia è una specie di figura ritagliata, in un
moto di inquietudine fiabesca a sottolinearne la spiritualità.
La stessa inquietudine che
ho provato nell'eseguire questo ciclo pittorico. E' l'inquietudine
della poesia da cui traspare la storia di questi Santi.
E' l'essenza di ciò che
essi hanno rappresentato nella loro vita, ora inserita in finestre
che si aprono verso la luce.
In
ognuna delle tavole cercate il simbolo dell'Associazione Umanità
dentro la Guerra,
che
qui ha la sua sede morale. Vi troverete i segni che ne
identificano l'ispirazione e che sintetizzano questo luogo: le tre
croci, quasi cavalli di frisia, deturpate dall'orribile filo
spinato su un freddo fondo grigio; il libro d'oro dei caduti che
racchiude un rametto d'ulivo sul colore azzurro della Regina
Pacis.
Giovanni
Cavazzon
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