Giovanni Cavazzon
Sorelle mie - P.P.S Editrice – Parma, 1995

LUCREZIA BORGIA

Le sere d’inverno Santino
dopo il lattemiele e il moscatello
ci accontava favole
schizzava sopra lo sgabello
in mezzo al tavolo
fra i moccolotti dei candelieri
e noi ci s’incantava
Ricordo
gli abiti di seta neri
le fini catenelle gotiche
lo zibellino dalla testa d’oro
Gandia
i suoi olii
veduta mai
ma assaporata
per quegli olori
di bergamotto
di gelsomino
Le dolci rose di Belriguardo
le primavere lattee, maggio
Ho visto un lupo a Belfiore
c’era Eleonora
Al ninfeo dimenticai il ventaglio
di corniole
Ho portato anche
il cilicio
quanto sfolgorìo nella cappella
le gemme
i ceri
I versi di Pietro
in segreto
Che parti dolorosi, dio
Ma ero ancora bella
appesantita forse
nella morte



LUCREZIA BORGIA (1480 - 1519) – Lucrezia Borgia è da sempre il prototipo dell’amante assassina, della donna fatale che elargisce seduzione e veleno, o se vogliamo, il veleno della seduzione. Maria Bellonci, nei suoi romanzi storici, ne dà un’immagine diversa, quella di una donna troppo accondiscendente verso il padre e il fratello, usata per delittuosi fini politici dei quali spesso inconsapevoli. Amò l’amore, la dolcezza del vivere, il lusso e la poesia, i piaceri dei sensi e dello spirito. Morì di parto a soli trentanove anni, ancora bellissima. Persistono anche dopo la morte i suoi ricordi teneri e sensuali, infantili e vanesi, come se fosse reduce da un ballo, non dalla tomba. Giorgio Belledi


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