Giovanni Cavazzon
Sorelle mie - P.P.S Editrice – Parma, 1995

CATERINA DI CARDONA

Dopo quel riflettere
cronico
sacro
bendai lo specchio
svestii la coltrice
dai lini
e da altro niveo
soffice
del mio molle tempo
Sopivo forse appena
sugli assiti
In piedi
mordicchiavo
le amaritudini
dell’erba casta
Tanto si rarefavano
dentro
gli appetiti
che la terra
si spettralizzava
Albugine
Allusione
all’ansimo scandito
dal mio sottrarre
al paradosso del cilicio
ai logori seccumi della pelle
Mai più
femmina
Ogni ora un’eclissi
cessava
nel corpo
un pianeta
si sgomberava l’anima
questa vicina
alla “Cueva”



CATERINA DI CARDONA (1519 - 1577) – Figlia naturale di Raimondo de Cardona, un valoroso generale dell’esercito spagnolo, nacque a Napoli nel 1519. Educata in un convento di francescane, sposò un nobile napoletano anche se era intensamente attratta dalla vita religiosa. Rimasta presto vedova, nel 1557 seguì la principessa di Salerno nel suo ritorno in Spagna e qui entrò alla corte dei principi di Eboli. Fu poi alla corte di Filippo II, dove divenne governante del fratello del re (Giovanni) e del figlio del re (Don Carlos, il controverso personaggio storico che ha ispirato Shiller e Verdi). Fu il bisogno di espiare un fallimento (come pedagoga del figlio del re) a spingere Caterina sulla via dell’ascetismo più crudele? Il fatto è che, dopo aver conosciuto l’eremita padre Pina, fuggì dalla corte e si rifugiò nella Cueva presso il Lucor e qui si chiuse in penitenza, vivendo d’erbe selvatiche e radici crude, maltrattando per otto anni il suo gracile corpo con la frusta e il cilicio al fine di perdere ogni legame, ogni traccia di femminilità, come se questa fosse un impedimento a comunicare con Dio. Perciò, quando le parlarono di “vestizione”, sorrise e chiese un saio da uomo. Fu accontentata. Giorgio Belledi


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