Giovanni Cavazzon
Testi critici


VICTORIA DRAGONE
Giovanni Cavazzon. Il messaggio sacro dell’arte.

Ritroviamo nell’opera di Giovanni Cavazzon il corpo nudo della donna con la sua voluttuosa bellezza. Ci sono delle immagini di ispirazione mitologica, in cui Dafne o Afrodite, avvolte nei capelli ondeggianti che coprono la linea armoniosa del corpo, allontanano con un gesto deciso Paride o Apollo, o la donna odierna con curve sinuose messa in posa di sensuale attesa, che sogna languida sulla scogliera o si riposa dopo il bagno su un lenzuolo di seta piegato intorno alle sue forme seducenti.
Ma il pittore va oltre l’impatto estetico; lui cerca attraverso il gioco del contrasto tra luce e ombra di entrare nella complessa natura umana, divina e mortale, spirituale e materiale. Gli stessi esseri sono raddoppiati da altri simili: come il negativo di una fotografia o il distacco del corpo astrale da quello materiale.
C’è uno sdoppiamento della personalità in cui è abbandonata la tradizionale impostazione su un unico piano e viene messa in contrapposizione la donna reale, animata, vigorosamente materica, con il tepore del corpo pulsante dell’armonia fluida della carne, e la donna diafana, statica, immota, irreale e sfuggente come il sogno, immateriale, come foggiata in una rosea nebbia.
Tramite il contrasto l’artista affronta l’analisi antitetica tra due età metaforicamente nominate: l’Estate e l’Inverno. I quadri sono sezionati da fasce di colori dominanti e significativi che costituiscono lo sfondo per due immagini emblematiche: la giovinezza con il cielo giallo come un sole sciolto, il corpo in estasi, travolto dalla passione, ammantato in una luce che spiraleggia infiammando tutto intorno, le cosce che riposano sul bianco del lenzuolo e le gambe che si perdono come le radici nella terra sono il simbolo del continuo rigenerarsi della vita. Mentre l’anziana è raffigurata con una prevalenza di colore biancastro, piegata, come se avesse paura di alzarsi e trovare sopra un cielo scuro che la aspetta, o per serbare le forze che le mancano; è scialba con la pelle raggrinzita, i capelli come lacci svigoriti; i seni pendono svuotati del miele della vita, la faccia stanca con il naso spigoloso, la bocca stretta in una linea amara; solo negli occhi brilla ancora un ultimo sguardo ironico verso ciò che diventa passato, una volta stemperata la fatica di vivere.
I piani paralleli dove al nero si contrappone il bianco o il rosso, li troviamo in quasi tutti i quadri: Girasoli, Recinto, Muro, La zucca, Nell’orto, Cancello, Nostalgia o nel disegno Mani; è il modo dell’artista di riscoprire l’intimo legame tra le cose, di forare il mistero che si nasconde dietro le apparenze.
Come donna sento l’arte del pittore molto vicina all’anima femminile, all’enigma, per tanti impenetrabile, della femminilità.
Quando ti avvicini all’artista per conoscerlo il suo cuore si apre come le porte del suo studio, una a una, in silenzio. Egli diventa un padre che presenta la sua opera come i suoi figli con tacito orgoglio, senza badare ai tuoi entusiasmi. Aspetta il momento quando la tua attenzione è appagata e poi ti porta in altre stanze dove ai tuoi labirinti di domande trovi le sue risposte in infinite interpretazioni, in cui l’accuratezza del disegno si incontra con la magia del colore.
Infine, carico di rappresentazioni, pensi che hai visto tutto, ma senti una voce come persa nella propria eco lontana che ti dice che ci sarebbe ancora qualcosa, come un segreto dell’anima, come una sorpresa, solo per chi se l’è guadagnata. All’improvviso scoppia la curiosità e ti precipiti in attesa; lo segui.
In uno spazio rettangolare c’è in posizione verticale un Cenacolo. Il dipinto è percorso da una luce abbagliante, che quasi ti fa scordare quanto hai visto prima; ti immergi in un’atmosfera divina fuori dell’ordine abituale: Gesù, colmato di luce, presiede a capo tavola, le sue braccia sono alzate verso l’alto per ricevere la pioggia di raggi brillanti simili a fulmini che si disperdono sulla piccola comunità. Gli apostoli come schiacciati da un peso, sembra vogliano scappare da quelle frecce dorate che scrutano nella profondità la loro coscienza.
C’è una luce anche sul volto dell’artista quando dice: «Nella mia pittura non c’è niente di profano, è come una liturgia in cui sento spesso la parola “verginità”».


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