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BRUNO
GENTILI
Per il Pindaro di Giovanni Cavazzon
Roma,
4 settembre 2013
L’indagine figurativa del pittore
Giovanni Cavazzon si è ispirata a un affascinante episodio del
mondo classico legato alla biografia del poeta Pindaro.
Cavazzon
propone un’imponente figura umana dall’anatomia
michelangiolesca e in essa possiamo riconoscere il poeta, uomo
profondamente devoto al culto apollineo: le biografie antiche ci
ricordano che egli ottenne la porzione (merís) delle carni
sacrificali nella festa delle Teossenie a Delfi e il pittore
sottolinea questo rapporto privilegiato di Pindaro con il dio
Apollo inserendo nella sua costruzione iconica una cetra, sopra la
quale la figura del poeta domina.
Nel quadro risalta la
presenza di un’ape, simbolicamente fuori misura, che porta al
poeta addormentato una cella d’alveare gonfia di miele.
Nell’articolazione che Cavazzon dà alla sua opera pittorica, la
presenza di quest’ape, quasi una digressione mitologica alla
maniera pindarica, sembra rappresentare l’ispirazione che viene
al poeta da un’entità divina a lui superiore. Uno sfondo appena
accennato descrive verosimilmente il paesaggio della Beozia, in
cui si compì il prodigio premonitore e, come ci racconta Pausania
(IX,23, 1ss.), sulla strada per Tespi uno sciame d’api fece il
favo sulle labbra del poeta colto dal sonno. La luminosa immagine
del soggetto centrale, che si distacca e emerge, nella sua
bianchezza, dallo scenario naturale, può essere letta come
un’epifania divina, un atto di investitura riservato a chi
Quintiliano definì “di gran lunga il principe dei poeti
lirici”.
Cavazzon ha colto in profondità lo spirito che
mosse la poetica stessa di Pindaro, il quale, lontano dall’essere
un “facitore di statue”, e in opposizione a Simonide e
Bacchilide, rivendicava una virtù innata del poeta, pari alla
virtù innata dell’eroe, e sosteneva una concezione
aristocratica della poesia, patrimonio di pochi eletti dotati da
natura.
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