OTTORINO
STEFANI
da “Arte Triveneta – dal barocco alle ultime
ricerche nel duemila”
Con
Giovanni Cavazzon entriamo ancora una volta nel mito “sublime”
di Venere. La bellezza come fonte aurorale della vita, generatrice
di fecondi pensieri, di desideri inconsci, di esaltante vitalismo
erotico. E’ il mito che attraversa, si può dire, l’intero
percorso della storia dell’arte. Tra i contemporanei ricorderemo
taluni nudi di Marussig, improntati ad un ‘ritorno all’ordine’,
quelli del trevigiano Renzo Biasion, inseriti sovente in un clima
sensuale di scoperto erotismo, e quelli di Plattner, deformati con
un gusto quasi perverso e decadente. Le Veneri di Cavazzon si
presentano con una connotazione sospesa tra la citazione colta
(Tom Wesselmann) e la forza provocante del nudo femminile
presentato come suprema provocazione erotica, sulla linea del
grande Ingres. Una provocazione “postmoderna” ma attiva e
filtrata da una non comune preparazione filosofica. Non a caso,
Licio Damiani scrive che nella “bellezza ricreata” di Cavazzon
vi è “un sottile gioco d’infingimenti, di rinvii, di rimandi
ironici. Romanticismo, estrema purezza formale e voglia di gioco,
la citazione perfetta fino al virtuosismo e la parodia della
memoria. Nelle splendide Veneri di Giovanni Cavazzon l’arte
guarda se stessa, si esibisce e si confuta innescando un processo
sofisticato di speculazione mentale”. Una speculazione mentale
che è, comunque, “gesto intellettualistico” per non
dichiarare apertamente l’impulso originario: l’esaltazione
dell’eros creato in maniera suprema dal “realismo integrale”,
nel celebre dipinto di CourbetL’origine
du monde del
1866, dove, come afferma Sgarbi “siamo veramente arrivati
all’arte contemporanea, alla dissacrazione, alla
rappresentazione del sesso come puro piacere, sensualità
immediata, quasi assordante”.
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OTTORINO
STEFANI
La
Nascita di Venere di Giovanni Cavazzon
“I
veneziani discutevano d’arte, non per scoprire, come i
fiorentini, una verità scientifica, ma per raffinare la loro
sensualità. Né dimentichiamo che la grande pittura veneziana del
secolo XVI ebbe il suo inizio nelle Venere ignuda dormiente di
Giorgione”.
Le parole del Venturi sottolineano, ancora una
volta, l’importanza dell’opera del Giorgione non solo
nell’àmbito della pittura veneta del Rinascimento, ma anche
come punto di riferimento fondamentale per comprendere i
successivi sviluppi della pittura moderna ed in particolare di
quella che aspira a rappresentare l’idea universale della
Bellezza. Canova, ad esempio, si era talmente innamorato della
pittura giorgionesca (ed in particolare della Venere), da creare
dei “falsi” e farli vedere agli amici come opere
originali.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che le Veneri
canoviane sono il risultato di una ispirata elaborazione dei
modelli del passato a partire da quelli greci. In tal senso la sua
visione estetica si potrebbe definire “postmoderna”.
Un’operazione ripresa, attualmente, anche dal pittore Giovanni
Cavazzon, il quale incentra la sua ricerca soprattutto sul tema
delle Veneri, con assunzioni stilistiche di impronta giorgionesca
e, soprattutto, canoviana.
In un primo periodo, la Bellezza
ideale dell’artista possagnese si realizza in alcune opere, come
Apollo che si incorona e il Principe Henry Lubomirski come Eros.
Si tratta di opere che esaltano una Bellezza androgina (oggi
particolarmente in voga in tutto il mondo), teorizzata anche dal
Winckelmann. Una Bellezza che conserva un senso di naturalezza
espressiva e sensuale che raggiunge, nell’ultima Venere,
scolpita nel 1817-20, uno dei risultati più alti della scultura
di tutti i tempi.
La nascita di Venere di Giovanni Cavazzon è
una ideale ripresa della linea canoviana dell’ultima Venere, la
quale mette in luce la “vera carne”, sfiorata, si direbbe,
dalla “Bellezza vaga” che, secondo Kant, è una Bellezza
creata dal libero gioco della fantasia dell’artista e, quindi,
riscoperta come un “sogno fatto alla presenza della ragione”.
Un
sogno che l’artista Cavazzon rende “visibile” nella sua
Venere che “vola” tra cielo e terra, come simbolo di un amore
eterno. Attraverso una raffinata armonia cromatica, egli raffigura
la dea della Bellezza sul punto di dissolversi nella luce
trascolorante del mattino, come una leggera nube “carica di
sogni narrati” e di segrete aspirazioni leopardiane: evocanti il
dolce “naufragare” nel regno infinito dell’Eros.
Un
erotismo non certamente avvolto dal “ritorno dell’ombra”, di
freudiana memoria, ma soffuso da una dolcezza permeata di motivi
simbolici, riconducibili a molteplici suggestioni delle
avanguardie storiche: dalla Pop Art al Lettrismo, dalla poetica
del Surrealismo a quella del Ready-made, felicemente espressa,
quest’ultima, dalla fitta trama di palline di polistirolo verde
e azzurro che allude, nella Nascita di Venere, ad un ipotetico
fondo marino.
La visione pittorica di Giovanni Cavazzon è
certamente frutto di una autentica formazione culturale che
assume, talvolta, un tono “nobilmente accademico”. Tuttavia è
proprio la raffinata esperienza operativa dell’artista a
trasformare il linguaggio della Nascita di Venere in “Dimora
dell’Essere” in quanto, come ha affermato Croce, “nella
primitiva intuizione (estetica) è potenzialmente implicito tutto
il sapere”.
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